venerdì 3 luglio 2009

LA CRISI FINANZIARIA E LE IMPRESE

DA INTERNET, ANCORA SULLA……. CRISI FINANZIARIA
Vorrei sinteticamente verificare in quali condizioni siamo giunti a questa crisi finanziaria internazionale, sostenendo che il Paese ha sì elementi differenziali di forza ma che essi sono controbilanciati da debolezze strutturali; in questo ambito la fiducia delle famiglie, almeno fino a febbraio non era drammaticamente deteriorata mentre c’è stato un crollo della fiducia delle imprese, innescato dalla restrizione creditizia; pertanto, è dalle famiglie che bisognerebbe ripartire; fornirò qualche indicazione anche sul fatto che da questa crisi nessuno uscirà indenne e che, quindi, anche i nostri settori ne stanno gravemente soffrendo in termini di chiusure nette di imprese e di incremento della disoccupazione. Così, anche la bilateralità può effettivamente essere una risposta utile per mitigare gli effetti più perniciosi della crisi: in particolar modo evitando effetti irreversibili sulla struttura micro-produttiva e sul tessuto commerciale delle nostre migliaia di amate città.

Affrontiamo, oggi, una crisi doppia, con caratteristiche, in parte, tutte italiane. La crisi importata si sovrappone alle debolezze strutturali del Paese, che conosce già da molti anni una riduzione della dinamica della produttività totale dei fattori e, addirittura, una sua contrazione assoluta.
Di fronte alla crisi mondiale, è facile e molto pericoloso dimenticare i nostri problemi strutturali. La fine della nostra crescita risale all’inizio degli anni 2000, datando alla seconda parte degli anni ’80 l’ultimo ciclo fortemente espansivo. Oggi la variazione del Pil pro capite potenziale - che è quanto, in media, ciascuno di noi può ragionevolmente attendersi in termini di miglioramento del reddito personale - è addirittura negativa. I rilevanti sprechi di cui soffriamo riducono il frutto del lavoro immesso nel processo produttivo, data l’attuale quantità e qualità del capitale privato e pubblico. E i consumi, conseguentemente, si contraggono. Di più. La figura indica come potremmo trovarci alla fine di questa specifica crisi finanziaria: esattamente come ci siamo entrati, cioè con incrementi della ricchezza pro capite assolutamente insoddisfacenti.

Ammesso che la parte eminentemente finanziaria della recessione sia meno grave in Italia, il resto della peggiore performance complessiva è dato, in ogni caso, dall’insufficiente dinamica del prodotto pro capite. Stiamo meglio sul circuito banche, stiamo peggio sul circuito della ricchezza prodotta: la somma di queste due condizioni è però a noi sfavorevole.
In sintesi, sta semplicemente accadendo, durante questa crisi, quello che è già successo almeno dal 2001 al 2007: quando l’economia mondiale cresceva molto, l’Italia cresceva poco; quando l’economia mondiale rallentava, la crescita economica dell’Italia si azzerava. Tale differenziale permane anche oggi.
E si vede subito. Posto a 100, per ogni Paese, il livello di prodotto pro capite nel 1992, nel 2008 l’Italia registra una crescita largamente inferiore a quella degli altri partner. E’ un discorso che oggi si tende a rimuovere. Il peso della recessione è ben diverso per chi è cresciuto molto in passato. Questa malattia da bassa crescita non solo non è risolta ma rischia di acuirsi. Infatti, nonostante si dica che gli altri stiano peggio di noi, il rapporto del Pil pro capite nel 2010 (forse anno di fine crisi) rispetto al Pil pro capite del 2007 (anno pre-crisi) in Italia non è diverso da quello dei nostri partner e in molti casi è anche peggiore (secondo previsioni della Commissione Europea).

Una recentissima indagine Confcommercio fornisce, sulla restrizione creditizia, risultati preoccupanti: un’azienda su tre, tra le PMI dei servizi non riesce ad ottenere oggi credito o se ci riesce deve sottostare a condizioni molto più vincolanti che in passato; ad analoghi risultati perviene ISAE. Anche Unioncamere ha attestato la restrizione al credito (non è in figura perché avevo finito lo spazio).
Non si tratta di fare polemica o di chiedere al sistema bancario di fare cattivo credito: dare, cioè, soldi indiscriminatamente a tutti. Bensì di prendere atto di una situazione reale, gravida di conseguenze negative. E’ necessario sia ripristinare l’agibilità dei circuiti creditizi per le imprese, tutte le imprese e, al contempo, evitare che questi impulsi depressivi si trasmettano completamente anche alle famiglie consumatrici.


Guardiamo alle famiglie più da vicino. Il loro atteggiamento appare solido e razionale. Considerato il periodo 2001-2007, le famiglie italiane, con quanto risparmiato, oltre ad acquistare gli immobili residenziali effettivamente comprati, avrebbero potuto comprare tutto il nuovo debito pubblico. Non così per Spagnoli o Inglesi.
In Italia, la questione consumi non costituisce, almeno per adesso, il problema strategico dei nostri giorni. Rispetto alle dinamiche del reddito disponibile reale (stagnante), della ricchezza finanziaria (in forte e prolungata riduzione) e immobiliare (in moderata riduzione), i consumi, e soprattutto i consumatori, stanno reagendo molto bene. In altre parole, se ci fosse stata e ci fosse attualmente una vera e propria crisi di fiducia delle famiglie, avremmo assistito, nel corso del 2008, a una riduzione della spesa per consumi privati ben più marcata di quella effettivamente osservata (diciamo una riduzione di 1,5-2 punti percentuali rispetto al -0,9% che ha certificato l’ISTAT). Insomma, la crisi strutturale è di produttività e quindi di reddito, ma non dei consumi delle famiglie. Queste ultime, oggi come durante tutti gli anni ’90, quando subirono l’incremento della pressione fiscale per permettere al Paese di partecipare al sistema della moneta unica, stanno mostrando una buona capacità di reazione.
Dei due cavalli, le imprese e le famiglie, solo quest’ultimo aveva e ha voglia di bene e avrebbe bevuto se ad esso fosse stata fornita la poca e preziosa acqua di cui si disponeva (per esempio al tempo dell’ipotesi di detassazione delle tredicesime). Sgravi fiscali alle famiglie farebbero poi bene anche alle imprese: infatti i comportamenti dei due cavalli sono correlati: se le famiglie spendono comincia a bere anche il cavallo-imprese.
Conferma di queste riflessioni si ha dalle risultanze di alcune indagini di fonte ufficiale pubblica o privata. Il clima di fiducia delle famiglie, misurato dall’ISAE, è in risalita a gennaio e a febbraio 2009. Anche l’indagine Censis-Confcommercio (febbraio 2009) chiarisce che a fronte di lucide e spassionate previsioni di ulteriori riduzioni dei consumi, le famiglie, in maggioranza (53%), si dichiarano ottimiste e fiduciose per i prossimi mesi.
Dunque, per adesso, la crisi dei redditi ha implicato minori consumi ma non una depressione del sentiment rispetto al futuro.
La tenuta della fiducia delle famiglie dovrebbe trovare ulteriore rafforzamento nella generale tendenza dei prezzi a contrarsi nell’attuale frangente e, soprattutto, nelle prospettive di riduzione di quella parte delle spese obbligate legate all’andamento dei corsi delle materie prime energetiche ed ai tassi d’interesse (tra risparmi sul costo dei carburanti, dell’energia elettrica e del gas, stimiamo un risparmio nel 2009 rispetto alla media del 2008 pari a 280 euro per nucleo familiare).
Il problema congiunturale oggi di maggior rilievo è il crollo della fiducia delle imprese da correlarsi inequivocabilmente alla progressiva restrizione sul fronte del credito (vedete la correlazione negativa e palese tra contrazione della fiducia nella manifattura e indice di restrizione al credito, ottenuto aggregando dichiarazioni dei banchieri!). Possiamo ipotizzare, sulla base di queste evidenze empiriche, che l’impulso negativo sul sistema delle imprese sia partito dal sistema bancario il quale, naturalmente, aveva maggiore contezza dei problemi sui crediti inesigibili. Trasmesso al settore produttivo, esso ha fatto rapidamente crollare la fiducia delle imprese che hanno ridotto gli investimenti in modo rilevante.

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