mercoledì 8 luglio 2009

lunedì 6 luglio 2009

ATTENZIONE A ROMA IL 21 LUGLIO.... PER RESISTERE

LA MANIFESTAZIONE DI ROMA SPOSTATA AL 21 LUGLIO (leggere il programma)

Causa motivi organizzativi la manifestazione a Roma prevista in data martedì 14 luglio é stata spostata a martedì 21 luglio con il seguente programma:
ROMA 21 LUGLIO H. 10.00
PIAZZA DELLA REPUBBLICA
da qui una delegazione raggiungerà il Ministero delle Finanze sito in Via XX SETTEMBRE.
Per quanto riguarda i pulmann, non dovrebbero esserci problemi a sistemarli nelle vicinanze della stazione Termini.

domenica 5 luglio 2009

TUTTI A ROMA IL 14 LUGLIO PER CONTINUARE A RESISTERE

LE IMPRESE CHE RESISTONO, FINALMENTE UNITE, SARANNO A ROMA IL 14 LUGLIO
Anche dalla nostra regione si può aderire inviando una mail a: impresecheresistonocampania@gmail.com
Hanno sfilato a Torino alla fine di giugno, erano i piccoli e medi imprenditori, così essenziali ma così tremendamente minacciati da una crisi ogni giorno più pesante che travolge i colossi ma soffoca per primi i meno forti. In circa 800, hanno manifestato tutta la loro preoccupazione (e rabbia) sfilando in città, per essere poi ricevuti dalla presidente della Regione, Mercedes Bresso. Dietro lo striscione di «Impresecheresistono», il gruppo spontaneo di piccoli e medi imprenditori del Piemonte e del Nord Ovest, chiede «una riduzione dell’Irap, l’accesso al credito, il rinvio di dodici mesi delle scadenze bancarie senza oneri e interessi, e un posticipo di un anno anche di quelle previdenziali».
Il popolo delle piccole imprese si è subito mobilitato per la manifestazione nazionale di Roma del 14 luglio. Anche dalla Campania sono giunte le prime adesioni delle “impresecheresistono” e invocano «l’abolizione dell’anticipo delle imposte, sperano in ammortizzatori sociali, e soprattutto nella certezza dei pagamenti, ispirandosi al modello francese che concede non più di 45 giorni di tempo per saldare i debiti dall’ultimo giorno del mese in cui è stata emessa fattura». Migliaia di piccole e medie imprese «stanno subendo sulla propria pelle gli effetti di una crisi che è un vero e proprio terremoto economico» «Il calo degli ordinativi e delle prospettive produttive - si legge nei vari blog nati a seguito dell’evento - sta producendo effetti devastanti». Non è un semplice momento di difficoltà, è molto peggio. «Nonostante gli sforzi messi in campo dalle singole aziende, la prospettiva, per molti, è la cassa integrazione e la mancata conferma dei nuovi contratti». C’è chi è ferito ma resiste. E c’è chi rischia di soccombere entro fine anno. Sono questi i più disperati, ma la rivolta è comune. Per le piccole imprese l’Irap è un ladrocinio, gli ammortizzatori non ci sono. Le piccole imprese non chiedono carità, ma considerazione. Non favori, ma neanche torti. «Senza aiuti non sarà possibile resistere nei prossimi mesi».
Per adesioni ci sono vari blog, tra cui www.impresecheresistono.blogspot.com oppure si può inviare mail al seguente indirizzo: impresecheresistonocampania@gmail.com

sabato 4 luglio 2009

ADERISCI ALLA MANIFESTAZIONE DEL 14 LUGLIO A ROMA

SE ANCHE TU FAI PARTE DEL MONDO CHE VUOLE REAGIRE, ALLORA ADERISCI ALLA MANIFESTAZIONE DI ROMA DEL 14 LUGLIO 2009. MANDA UNA MAIL, SOSTIENI LE IMPRESECHERESISTONO!

IMPRESE CHE RESISTONO....

alla fine di giugno una manifestazione delle imprese che resistono è stata così raccontata sulla stampa: http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/14291/
ed ancora su: http://archiviostorico.corriere.it/2009/luglio/02/SOFFERENZA_SILENZIOSA_co_9_090702003.shtml

il 14 luglio a roma per continuare a.....resistere

per tutte le imprese che vogliono continuare a resistere (e intanto resistono) c'è l'appuntamento a roma del 14 luglio 2009. è importante esserci, perchè resistere non significa chiudersi nella propria azienda! per le adesioni scrivere a: impresecheresistonolombardia@yahoo.it

venerdì 3 luglio 2009

il denaro dei rimborsi....elettorali

IL DENARO DEI RIMBORSI …… ELETTORALI
Denaro fresco per le casse dei cinque partiti che inviano parlamentari a Strasburgo, vale a dire Pdl, Pd, Lega, Italia dei Valori e Udc. Il partito di Silvio Berlusconi, ad esempio, avra’ oltre 103 milioni di rimborsi elettorali, mentre quello di Dario Franceschini circa 84. A bocca asciutta rimarranno invece, per la prima volta, i partiti rimasti sotto la soglia del 4% imposta con la modifica alla legge elettorale europea varata quest’anno. Il calcolo dei soldi che andrà a ciascun partito è un po’ complicato. Il monte complessivo da distribuire è di cinque euro per ogni cittadino avente diritto al voto, quest’anno 50.341.790. La torta da spartire è dunque di 251.708.950 di euro.
Una somma ingente, equivalente per esempio al taglio al Fondo sociale effettuato dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti nella finanziaria del luglio scorso. Ad aver diritto ai rimborsi elettorali sono solo i partiti che eleggono almeno un eurodeputato; ma con la soglia del 4% introdotta quest’anno, sono solo cinque le formazioni che si spartiranno la somma complessiva. Quindi, ad esempio, il Pdl con il 35,25% dei voti non otterrà questa percentuale di rimborsi, bensì una fetta più grande. Infatti i suoi 10.807.176 voti vanno ponderati su quelli ottenuti dai soli cinque partiti che hanno acquisito il diritto al rimborso, vale a dire 26.391.247 (tutti i votanti sono stati infatti 30.645.386, al netto dell’astensione). La percentuale sale allora al 40,95%, ed è la fetta di rimborsi che otterrà. Stesso discorso vale per gli altri quattro partiti che accedono ai rimborsi.
La percentuale che spetta al Pd è del 30,34%, quella della Lega è dell’11,85%, quella di Di Pietro è del 9,29%, quella dell’Udc del 7,57%. Ecco dunque la tabella dei rimborsi che arriveranno nelle casse dei cinque partiti, secondo i calcoli fatti dall’ANSA sulla base dei risultati forniti dal ministero dell’Interno. Le somme saranno divise in cinque tranches uguali, che verranno assegnate annualmente a ciascun partito fino alla fine della legislatura europea, nel 2014.
PARTITO RIMBORSO ELETTORALE
Pdl 103.074.815,035 euro Pd 84.368.495,430 euro Lega 29.827.510,575 euro Idv 23.383.761,455 euro Udc 19.054.367,515 euro Per capire l’entità delle cifre che finiscono nelle casse dei partiti, basta considerare che 100 milioni sono quanto il governo ha destinato nel 2009 al Piano straordinario per costruire nuovi asili nido; 80 milioni sono l’intero piano di fondi per le politiche giovanili; 30 milioni è il finanziamento 2009 per le pari opportunità.

LA VOCE DELLE IMPRESE

FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA.…….. VOCE
Vogliamo noi tutti far sentir la Nostra voce affinché i legislatori possano Seriamente prendere in considerazione Urgentemente di CAMBIARE le cose …Affinché possiamo continuare a svolgere le nostre attività senza dover chiudere, e permettere a chi lo desidera d’ampliarsi.Crediamo che in questo momento non si possa più aspettare e si debba in modo sostanziale modificare il carico fiscale, la burocratizzazionedell’impresa , i vincoli assai rigidi che impediscono l’espansione del lavoro concretamente analizzareE INTERVENIRE IN MODO CELERE sui MOLTI punti che influiscono sulla stagnazione delle assunzioni in seguito al Costo del Lavoro Particolarmente alto.Sia per le aziende che per i dipendenti che si vedono espropriare dagli stipendi molto denaro, che potrebbe servire ad affrontare il momento di crisi, a far ripartire l’economiaRisolte e migliorate le questioni dell’ apprendistato e dei contratti in genere, che obbligano i dipendenti e datori di lavoro a corsi spesso inutili e lontani piuttosto prolungati con un costo per l’azienda oneroso che e non li qualifica in modo concreto.In questi anni si sono viste lievitare spese assurde , Costi Tasse, Burocrazie varie che impediscono a chi vuole investire d’intraprendere questo cammino, e per chi è gia imprenditore di continuare a rimanere su mercato per sviluppare l’Azienda ed assumere nuovi dipendenti.
Non si può più rimanere in Silenzio di fronte a questo scenario, che vede una crisi strutturale profonda , trascinarsi da molti anni sotto gli occhi di tutti anche degli stessi imprenditori e lavoratori , che non riescono più a sostenere, il peso
così elevato di questa situazione stagnante , sentita ormai da tutti indipendentemente dall’ attività svolta , in particolare quelle piccole realtà , spesso neppure considerate.
L’Apparato burocratico appesantito da competenze e organismi vari ormai non è più in grado di sostenere realmente le esigenze di un economia profondamente cambiata continuando ad aggravare proprio la base su cui si poggia la reale produzione di posti di lavoro, e quindi il futuro della ripresa, quella base ormai al collasso.
Tutte quelle aziende che sviluppano sul territorio e sono la colonna portante della creatività e del rischio che da sempre contraddistingue la piccola e Media Impresa in Italia , fatta di piccole entità diversificate che rappresentano con i loro numeri più del ottanta per cento dei posti di lavoro.
Come possono avere così poca forza?
Un apparato gigantesco che oramai produce costi immensi per mantenersi e che rischia di far affondare, sotto il peso della lentezza, delle normative, e la fatica ad assumere, anche quelle poche aziende sane rimaste in piedi
E’ necessario che si ritorni ad una meritocraziaPremiare chi produce meglio e con qualità chi fa e s’impegna e agevolarlo affinché cresca poiché produce posti di lavoro porta a una crescita economica Serve alla società e l’alimenta. Agevolarlo nel lavoro rendendo fluidi e limpidi giusti gli adempimentiUno stato SOCIO della piccola media azienda , con l’ oltre cinquanta per cento dei prelievi in tasse e da poco indietro con i servizi , NON PARTECIPA EFFETTIVAMENTE MA PRENDE alle imprese artigianali e commerciali , più di quanto da indietro.

LA CRISI FINANZIARIA E LE IMPRESE

DA INTERNET, ANCORA SULLA……. CRISI FINANZIARIA
Vorrei sinteticamente verificare in quali condizioni siamo giunti a questa crisi finanziaria internazionale, sostenendo che il Paese ha sì elementi differenziali di forza ma che essi sono controbilanciati da debolezze strutturali; in questo ambito la fiducia delle famiglie, almeno fino a febbraio non era drammaticamente deteriorata mentre c’è stato un crollo della fiducia delle imprese, innescato dalla restrizione creditizia; pertanto, è dalle famiglie che bisognerebbe ripartire; fornirò qualche indicazione anche sul fatto che da questa crisi nessuno uscirà indenne e che, quindi, anche i nostri settori ne stanno gravemente soffrendo in termini di chiusure nette di imprese e di incremento della disoccupazione. Così, anche la bilateralità può effettivamente essere una risposta utile per mitigare gli effetti più perniciosi della crisi: in particolar modo evitando effetti irreversibili sulla struttura micro-produttiva e sul tessuto commerciale delle nostre migliaia di amate città.

Affrontiamo, oggi, una crisi doppia, con caratteristiche, in parte, tutte italiane. La crisi importata si sovrappone alle debolezze strutturali del Paese, che conosce già da molti anni una riduzione della dinamica della produttività totale dei fattori e, addirittura, una sua contrazione assoluta.
Di fronte alla crisi mondiale, è facile e molto pericoloso dimenticare i nostri problemi strutturali. La fine della nostra crescita risale all’inizio degli anni 2000, datando alla seconda parte degli anni ’80 l’ultimo ciclo fortemente espansivo. Oggi la variazione del Pil pro capite potenziale - che è quanto, in media, ciascuno di noi può ragionevolmente attendersi in termini di miglioramento del reddito personale - è addirittura negativa. I rilevanti sprechi di cui soffriamo riducono il frutto del lavoro immesso nel processo produttivo, data l’attuale quantità e qualità del capitale privato e pubblico. E i consumi, conseguentemente, si contraggono. Di più. La figura indica come potremmo trovarci alla fine di questa specifica crisi finanziaria: esattamente come ci siamo entrati, cioè con incrementi della ricchezza pro capite assolutamente insoddisfacenti.

Ammesso che la parte eminentemente finanziaria della recessione sia meno grave in Italia, il resto della peggiore performance complessiva è dato, in ogni caso, dall’insufficiente dinamica del prodotto pro capite. Stiamo meglio sul circuito banche, stiamo peggio sul circuito della ricchezza prodotta: la somma di queste due condizioni è però a noi sfavorevole.
In sintesi, sta semplicemente accadendo, durante questa crisi, quello che è già successo almeno dal 2001 al 2007: quando l’economia mondiale cresceva molto, l’Italia cresceva poco; quando l’economia mondiale rallentava, la crescita economica dell’Italia si azzerava. Tale differenziale permane anche oggi.
E si vede subito. Posto a 100, per ogni Paese, il livello di prodotto pro capite nel 1992, nel 2008 l’Italia registra una crescita largamente inferiore a quella degli altri partner. E’ un discorso che oggi si tende a rimuovere. Il peso della recessione è ben diverso per chi è cresciuto molto in passato. Questa malattia da bassa crescita non solo non è risolta ma rischia di acuirsi. Infatti, nonostante si dica che gli altri stiano peggio di noi, il rapporto del Pil pro capite nel 2010 (forse anno di fine crisi) rispetto al Pil pro capite del 2007 (anno pre-crisi) in Italia non è diverso da quello dei nostri partner e in molti casi è anche peggiore (secondo previsioni della Commissione Europea).

Una recentissima indagine Confcommercio fornisce, sulla restrizione creditizia, risultati preoccupanti: un’azienda su tre, tra le PMI dei servizi non riesce ad ottenere oggi credito o se ci riesce deve sottostare a condizioni molto più vincolanti che in passato; ad analoghi risultati perviene ISAE. Anche Unioncamere ha attestato la restrizione al credito (non è in figura perché avevo finito lo spazio).
Non si tratta di fare polemica o di chiedere al sistema bancario di fare cattivo credito: dare, cioè, soldi indiscriminatamente a tutti. Bensì di prendere atto di una situazione reale, gravida di conseguenze negative. E’ necessario sia ripristinare l’agibilità dei circuiti creditizi per le imprese, tutte le imprese e, al contempo, evitare che questi impulsi depressivi si trasmettano completamente anche alle famiglie consumatrici.


Guardiamo alle famiglie più da vicino. Il loro atteggiamento appare solido e razionale. Considerato il periodo 2001-2007, le famiglie italiane, con quanto risparmiato, oltre ad acquistare gli immobili residenziali effettivamente comprati, avrebbero potuto comprare tutto il nuovo debito pubblico. Non così per Spagnoli o Inglesi.
In Italia, la questione consumi non costituisce, almeno per adesso, il problema strategico dei nostri giorni. Rispetto alle dinamiche del reddito disponibile reale (stagnante), della ricchezza finanziaria (in forte e prolungata riduzione) e immobiliare (in moderata riduzione), i consumi, e soprattutto i consumatori, stanno reagendo molto bene. In altre parole, se ci fosse stata e ci fosse attualmente una vera e propria crisi di fiducia delle famiglie, avremmo assistito, nel corso del 2008, a una riduzione della spesa per consumi privati ben più marcata di quella effettivamente osservata (diciamo una riduzione di 1,5-2 punti percentuali rispetto al -0,9% che ha certificato l’ISTAT). Insomma, la crisi strutturale è di produttività e quindi di reddito, ma non dei consumi delle famiglie. Queste ultime, oggi come durante tutti gli anni ’90, quando subirono l’incremento della pressione fiscale per permettere al Paese di partecipare al sistema della moneta unica, stanno mostrando una buona capacità di reazione.
Dei due cavalli, le imprese e le famiglie, solo quest’ultimo aveva e ha voglia di bene e avrebbe bevuto se ad esso fosse stata fornita la poca e preziosa acqua di cui si disponeva (per esempio al tempo dell’ipotesi di detassazione delle tredicesime). Sgravi fiscali alle famiglie farebbero poi bene anche alle imprese: infatti i comportamenti dei due cavalli sono correlati: se le famiglie spendono comincia a bere anche il cavallo-imprese.
Conferma di queste riflessioni si ha dalle risultanze di alcune indagini di fonte ufficiale pubblica o privata. Il clima di fiducia delle famiglie, misurato dall’ISAE, è in risalita a gennaio e a febbraio 2009. Anche l’indagine Censis-Confcommercio (febbraio 2009) chiarisce che a fronte di lucide e spassionate previsioni di ulteriori riduzioni dei consumi, le famiglie, in maggioranza (53%), si dichiarano ottimiste e fiduciose per i prossimi mesi.
Dunque, per adesso, la crisi dei redditi ha implicato minori consumi ma non una depressione del sentiment rispetto al futuro.
La tenuta della fiducia delle famiglie dovrebbe trovare ulteriore rafforzamento nella generale tendenza dei prezzi a contrarsi nell’attuale frangente e, soprattutto, nelle prospettive di riduzione di quella parte delle spese obbligate legate all’andamento dei corsi delle materie prime energetiche ed ai tassi d’interesse (tra risparmi sul costo dei carburanti, dell’energia elettrica e del gas, stimiamo un risparmio nel 2009 rispetto alla media del 2008 pari a 280 euro per nucleo familiare).
Il problema congiunturale oggi di maggior rilievo è il crollo della fiducia delle imprese da correlarsi inequivocabilmente alla progressiva restrizione sul fronte del credito (vedete la correlazione negativa e palese tra contrazione della fiducia nella manifattura e indice di restrizione al credito, ottenuto aggregando dichiarazioni dei banchieri!). Possiamo ipotizzare, sulla base di queste evidenze empiriche, che l’impulso negativo sul sistema delle imprese sia partito dal sistema bancario il quale, naturalmente, aveva maggiore contezza dei problemi sui crediti inesigibili. Trasmesso al settore produttivo, esso ha fatto rapidamente crollare la fiducia delle imprese che hanno ridotto gli investimenti in modo rilevante.

BUROCRAZIA e IMPRESE

BUROCRAZIA E IMPRESE
Burocrazia italiana lenta, tasse sulle società tra le più alte del mondo e, più in generale, il numero di adempimenti e il tempo necessario a gestirli collocano il Belpaese agli ultimi posti del panorama internazionale globale.
E’ questo il quadro generale che emerge da un’indagine realizzata da PricewaterhouseCoopers e da World Bank-Ifc sulla base del report del Gruppo World Bank, ‘Paying Taxes 2009’.
Dai risultati emersi, risulterebbe che l’Italia occupa l’ultima posizione fra i paesi della Ue e 166esima su 181 paesi nel mondo, con una pressione impositiva che arriva al 73 per cento degli utili. Inoltre, si posizione alla 128esima posizione nella speciale classifica della semplicità degli adempimenti fiscali e contributivi e alla 133esima in quella delle ore necessarie a ottemperarvi. Insieme all’Italia, in negativo ci sono solo Polonia e Romania. Primeg,giano, invec tra i paesi del G8 Gran Bretagna, Canada e Usa. Solo la Russia fa peggio dell’Italia.
I paesi con il total tax rates più bassi sono: Vanuatu (8,4%), Maldive (9%), Qatar (11%), Kuwait (14,4%), Bahrain (15%), Zambia (16%) e Lesotho (18%). Tra i paesi che nel 2007/2008 hanno ridotto l’imposta sui redditi delle società sono stati: Albania, Antigua e Barbuda, Bosnia-Erzegovina, Burkina Faso, Canada, Cina, Costa d’Avorio, Repubblica Ceca, Danimarca, Repubblica Dominicana, Georgia, Germania, Italia, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Madagascar, Malaysia, Marocco, Nuova Zelanda, Samoa, St.Vincent e Grenadine, Tailandia.

Draghi: troppe tasse, urgente il taglio

Draghi: troppe tasse, urgente il taglio
«Alzare l’età pensionabile, preoccupa l’inflazione, salari troppo bassi. Le banche hanno retto alla crisi»
Draghi, nella sua relazione annuale che ammette però che i salari sono troppo bassi. «Il Paese ha desiderio, ambizione, risorse per tornare a crescere» e protagonisti «devono essere i giovani», ha affermato Draghi, sottolineando che «stabilità politica» e «forza delle istituzioni sono le fondamenta su cui costruire l’intervento risanatore. La sua attuazione richiederà l’impegno di tutte le forze di cui dispone il Paese».
TASSE - La pressione fiscale in Italia è aumentata negli ultimi due anni di 2,8 punti percentuali ed è arrivata «appena al di sotto del valore massimo registrato nel 1997, al culmine degli sforzi per entrare nei parametri di Maastricht».
EURO E INFLAZIONE - L’inflazione sta accelerando nell’eurozona, ma «la dinamica dei costi interni è rimasta moderata: non vi è stata finora rincorsa tra salari e prezzi». Draghi ha poi ringraziato la presenza dell’euro: «Di fronte al rialzo dei prezzi internazionali, la forza dell’euro protegge il potere d’acquisto dei cittadini, i loro risparmi» dai rincari di energia, materie prime e alimentari che hanno spinto l’inflazione del primo trimestre al 3,3%, il livello più elevato dalla prima metà degli anni Novanta.
CONTI PUBBLICI - Nell’ultimo biennio «la situazione dei conti pubblici è migliorata» ma, secondo il governatore di Bankitalia, «i risultati per l’anno in corso si prospettano meno favorevoli». Anche in un contesto congiunturale difficile, però, «il rapporto fra debito e prodotto deve restare su un sentiero di flessione». «La fase di debolezza ciclica», attraversata dall’Italia nel 2007 «si protrarrà almeno per l’anno in corso».
FAMIGLIE E GIOVANI - «La spesa delle famiglie italiane è frenata dalla bassa progressione del reddito disponibile», che tradotto significa che gli stipendi sono troppo bassi, soprattutto per quanto riguarda i «redditi più bassi», è l’opinione del governatore dell’istituto centrale di credito. «I consumi continuano a risentire dell’instabilità dei rapporti di impiego, diffusa specialmente tra i giovani e nelle fasce marginali di mercato del lavoro». I protagonisti della rinascita italiana devono essere i giovani, «oggi mortificati da un’istruzione inadeguata, da un mercato del lavoro che li discrimina a favore dei più anziani, da un’organizzazione produttiva che troppo spesso non premia il merito e non valorizza le capacità». A fronte dell’esortazione di lasciare spazio ai giovani, però Draghi lamenta che troppi pochi anziani lavorino in Italia: «Solo il 19% degli italiani tra i 60 e i 64 anni svolge un’attività lavorativa, contro il 33% degli spagnoli, il 45% dei britannici e il 60% degli svedesi».
PENSIONI - «Un incremento dell’età media di pensionamento e un convinto sviluppo della previdenza complementare, può dare un fondamentale contributo alla riduzione della spesa pubblica», è il suggerimento di Draghi, secondo il quale occorre anche «cancellare gli ultimi impedimenti al cumulo tra lavoro e pensione e incoraggiare forme flessibili di impiego con orari adattabili alle esigenze individuali».
BANCHE E CRISI MUTUI - Secondo il governatore è ancora presto per dire che sia finita la crisi finanziaria innescata in Usa dai mutui a rischio. Le tensioni sui mercati si vanno allentando ma «non si sono ancora ripristinate condizioni di normalità». Draghi ha fatto anche notare che le banche italiane «hanno retto bene l’urto della crisi». La commissione di massimo scoperto, applicata dalle banca sui conti correnti in rosso, è un istituto di scarsa trasparenza e va abolito, ha affermato Draghi. Nelle banche italiane ci sono stati «ritardi» nell’applicare le nuove norme su portabilità gratuita ed estinzione anticipata dei mutui.

Varese e gli artigiani ribelli

Varese e gli artigiani ribelli
L’assemblea degli imprenditori: qui chiuderanno 2mila ditteVarese e gli artigiani ribelli«L'autunno ci fa paura»Il malessere delle «partite Iva» in una delle zone più ricche d'Europa. «Il governo aiuta soltanto i soliti noti»Dall'inviato Dario Di Vico (www.corriere.it)
JERAGO con ORAGO (Varese) - I Cen­to Giorni del conto alla rovescia sono co­minciati. In una calda serata di metà giu­gno capita che nel Varesotto trecento tra artigiani e piccoli imprenditori si riuni­scano per sfogare le loro ansie. E per far sapere alle autorità preposte che Ocse e Fmi avranno pure sentenziato che «il peg­gio è passato» ma ai loro occhi la ripresa dopo le ferie estive, il temutissimo set­tembre dell’anno di grazia 2009, si pre­senta a tinte fosche. E se lo ha detto l’Em­ma Marcegaglia, figurarsi loro che di san­ti in paradiso non ne hanno. Il paese ha un nome da scioglilingua, Jerago con Ora­go, è a pochi chilometri a sud di Varese, laddove la Lombardia assomiglia al Vene­to dei cento capannoni: 57 aziende ogni chilometro quadrato, più di una partita Iva in ogni famiglia. Quasi tutti a Jerago, come nei paesi limitrofi, sono artigiani o micro-imprenditori e di conseguenza nel vecchio auditorium (con le sedie di le­gno) di proprietà dell’onnipresente Curia c’è idealmente presente l’intera popola­zione della zona, il genius loci.Ad organizzare con puntiglio l’adunata è stato un piccolo imprenditore me­talmeccanico, Alberto Vanzini, un moto perpetuo che per settimane ha inondato di email il ministro Tremonti, la Regione, la Rai e i suoi colleghi. E ha trovato modo di coinvolgere anche i comitati sponta­nei di Imprese che resistono nati tra Tori­no e Cuneo e arrivati in delegazione fin qui nel Varesotto. Sul palco c’è il sindaco del Pdl - medico anche lui con partita Iva - accanto al senatore leghista, all’as­sessore regionale formigoniano Raffaele Cattaneo e al rappresentante della Provin­cia anche lui leghista, di quelli con regola­re cravatta verde. Uno spaccato della rap­presentanza politica territoriale tutta ri­gorosamente di centro-destra e tutta in grado di sciorinare facilmente l’alfabeto d’impresa. Capace in sostanza di dimo­strare al pubblico «che non siamo altro da voi, che la fatica di portare avanti un’azienda la conosciamo anche noi».Eppure stavolta qualcosa scricchiola tra politica e territorio in una delle aree più ricche dell’intera Europa, l’effetto co­munità non basta più a sedare gli animi, la paura di abbassare la claire in autunno una volta per tutte è così forte che le soli­darietà anche quelle più automatiche va­cillano. È improbabile che qualcuno dei presenti in platea abbia votato a sinistra due domeniche fa, ma il clima per certi versi ricorda le assemblee «laburiste» de­gli anni Settanta. Con una piccola diffe­renza: al posto degli operai e dei loro stri­scioni rossi, ora c’è il nuovo Quarto Sta­to, i micro-imprenditori che non amano portare cartelli e sventolare bandiere e che prima di entrare in sala compilano di­ligentemente il foglio che riepiloga le aziende presenti. Una volta seduti resta­no inchiodati al loro posto, non gridano slogan, non fischiano, ma non per que­sto è facile convincerli. Anzi. I politi­ci- oratori sanno benissimo che quelli in platea sono propri elettori sanno però al­trettanto bene che il governo di Roma di margini per intervenire non ne ha tanti. Con grande coraggio lo ammette Massi­mo Garavaglia, il senatore del Carroccio che segue le partite Iva: loda la politica rigorista del ministro Giulio Tremonti e coerentemente sostiene che gli incentivi fiscali non è detto che arrivino. «Si farà qualcosina in più di quello che abbiamo già fatto». (Seguono timidi battimani di stima).L’applauso più forte scatta invece quando Giorgio Merletti, il presidente della Confartigianato se la prende con i soldi che il governo ha dato alla Fiat, al­l’Alitalia e persino alla Indesit dei Merlo­ni. «Berlusconi un anno fa ci aveva detto che ciò che va bene per le piccole medie imprese va bene per il Paese, ma poi ha aperto il portafoglio solo per i soliti no­ti ». Gli enti locali, invece — lo riconosco­no tutti — hanno fatto i salti mortali no­nostante dovessero obbedire al patto di stabilità. Hanno trovato nelle pieghe del bilancio le finanze per tutelare le fasce de­boli o per ampliare la copertura degli am­mortizzatori sociali. Ricordate gli stanzia­menti per attutire le difficoltà di Malpen­sa e che servivano a risarcire lo schiaffo di Air France? Beh, alla fine si è speso me­no di quanto si pensasse e una buona fet­ta è servita per pagare la cassa integrazio­ne alle aziende dell’indotto che ne aveva­no bisogno.In Lombardia più di 4 mila imprese stanno per chiedere nuova Cassa ma il numero shock lo pronuncia proprio Merletti: «Dai nostri calcoli in autunno nella provincia di Varese chiuderanno almeno 2 mila aziende». Nessuno se la sente di smentirlo, la gen­te in platea sobbalza ma in cuor suo lo sapeva. Le autorità sul palco comin­ciano un tantino a preoc­cuparsi della temperatu­ra (politica). Perché da quel punto in poi è come si fosse aperta una diga. «In Italia le grandi impre­se non falliscono mai e delocalizzano quando vo­gliono» sostiene il giova­ne rappresentante della Confapi e propone di stornare i soldi tolti agli usurai e alla mafia per darli alle aziendine del Nord. Il segretario locale degli artigiani rossi, la Cna, attacca Gerico e tut­ti in sala sanno che non se la sta prendendo con la città biblica bensì con il software che governa «il calcolo di congruità» degli studi di settore ed è l’avversario dichiarato di ogni partita Iva. Gli applausi fioccano.Per rincarare la dose prendono il micro­fono i torinesi di Imprese che resistono e ce n’è per tutti, dalla Confindustria al­­l’Istat ma il bersaglio privilegiato è il si­stema del credito. «Uno dei nostri - raccontano i piemontesi - ha scritto una mail al direttore della sua banca e gli ha detto 'che devo fare della mia azienda, se volete che chiuda ditemelo ma non lasciatemi qua a prendermi l’esaurimento nervoso'». In una norma­le e paludata assemblea sarebbe arriva­to il momento delle conclusioni. Il più coraggioso tra i politici sul palco si inca­rica di tirarle come da manuale ma, in­cassato il battimani di circostanza, a mi­crofoni spenti ammette preoccupato: «Quello di stasera è un segnale non sot­tovalutare. Non l’avrei detto». Intanto fuori dall’auditorium nei commenti a caldo degli artigiani ribelli c’è spazio an­che per i paragoni più impegnativi. «La Cina è diventata così perché ha sostenu­to le piccole e medie imprese!» Domeni­ca si replica: nuova assemblea, stavolta a Varese.

I PICCOLI IMPRENDITORI......RESISTONO

LA RESISTENZA
I piccoli imprenditori che resistono Sono 4,3 milioni gli imprenditori alla guida di piccole e piccolissime realtà imprenditoriali che non superano la soglia dei 20 addetti, occupano 9,8 milioni di lavoratori e generano un valore aggiunto di 303 miliardi di euro. Garantiscono quindi il 57,6% dell’occupazione nelle imprese manifatturiere e dei servizi, il 44,8% del valore aggiunto prodotto, il 39,2% degli investimenti realizzati. La crisi ci ha ricordato che la nostra economia poggia sulla ossatura solida dei piccoli e piccolissimi imprenditori. Anche oggi che la crisi li mette a dura prova, minacciando i processi di crescita e costringendo alcuni a chiudere - il primo trimestre 2009 ha registrato l’ennesimo saldo negativo, con una perdita netta di 40 mila imprese - sono loro a mostrare una buona capacità di tenuta. Tra il primo bimestre del 2007 e quello del 2009, a fronte di una contrazione complessiva del 22,5% del volume delle esportazioni italiane, hanno retto meglio le piccolissime imprese (1-9 addetti: -9,5%) e quelle con 10-49 addetti (-13,5%). Tra il primo bimestre del 2008 e quello del 2009 solo il 28,8% delle aziende italiane ha registrato un bilancio positivo sul fronte dell’export, nonostante la cattiva congiuntura, ma tra le piccolissime imprese (con meno di 10 addetti) la quota sale al 33,6% e in quelle con 10-49 addetti al 30,1%.



Senza rappresentanza. Nell’Italia che cerca di rialzare la testa dopo i colpi della crisi c'è un popolo senza visibilità, quello della piccola imprenditorialità e del lavoro autonomo, che esprime la voglia di sviluppare una rinnovata rappresentanza dei propri interessi. Ma oltre a questa porzione solida della società, la realtà degli «invisibili» è fatta anche di giovani dal futuro incerto, lavoratori extracomunitari e badanti, «qualcosisti» impiegati in un terziario dai contorni confusi, tutti soggetti senza voce e rappresentanza, che insieme compongono un mosaico spesso ignorato dalle statistiche ufficiali. L’invisibile moltitudine del «paralavoro». Sono 4 milioni 628 mila i lavoratori «di mezzo», né dipendenti, né completamente autonomi, ovvero il 20% dell’occupazione complessiva del Paese. Si tratta di un universo costituito da figure professionali estremamente diverse, accomunate dalla condizione di instabilità. Vi rientrano infatti: 2 milioni 323 mila lavoratori dipendenti con contratti a termine (pari al 9,9% degli occupati), tra cui apprendisti e interinali; 370 mila collaboratori a progetto (l’1,6% dell’occupazione); 828 mila partite Iva (il 3,5% dell’occupazione), ovvero consulenti che lavorano per un solo cliente; circa 900 mila semi-professionisti (il 4,3% dell’occupazione), vale a dire autonomi che, pur avendo più di un committente, sono tenuti a rispettare vincoli di orario e di presenza imposti dai clienti presso cui lavorano; 95 mila collaboratori occasionali che lavorano a intermittenza, solo quando si creano opportunità. Nell’anno della crisi, il 2008, il settore del paralavoro ha pagato un prezzo concreto, registrando una perdita netta di 136 mila unità (-2,9%), mentre il lavoro tradizionale, autonomo e dipendente, sostanzialmente teneva. A subire il ridimensionamento più drastico sono stati i lavoratori a partita Iva monocommittenti: quasi 243 mila unità in meno nell’ultimo anno (-22,7%).L’emersione degli addetti al microwelfare. Tra il 2001 e il 2008 il numero di colf e badanti è aumentato da 1 milione 83 mila a 1 milione 484 mila, registrando una crescita del 37%. Dal 2003 al 2007 il numero di famiglie che hanno fatto ricorso a un collaboratore domestico è passato da 1 milione 929 mila a 2 milioni 451 mila (+27%), portando dall’8,7% al 10% la percentuale di famiglie italiane che si avvalgono di questi servizi.Il terziario «qualcosista» a rischio. Il settore terziario produce sempre meno occupazione. Il numero dei nuovi posti di lavoro creati nel comparto dei servizi è passato da 1 milione 400 mila nel quinquennio 1998-2003 a 735 mila nel quinquennio 2003-2008, riducendosi della metà. Il composito mondo delle attività di servizio alle imprese, della consulenza, della comunicazione, del marketing, da sempre motore di sviluppo del comparto, ha registrato una battuta d’arresto, riducendo di circa un terzo il numero dei nuovi occupati (da 415 mila nel periodo 1998-2003 a 265 mila nel periodo 2003-2008).Se fino a qualche tempo fa l’ampio sviluppo del terziario aveva garantito che a nessuno venisse negata un’opportunità di occupazione, purché fosse disposto a «fare qualcosa», oggi i canali di accesso al lavoro terziario sono diventati più stretti e selettivi. Nelle attività di servizio avanzato alle imprese la quota dei lavoratori a rischio (a progetto, temporanei, a partita Iva) rappresenta ormai il 22,8% dell’occupazione, il 24,7% nel terziario sociale, il 22,2% nel commercio. Tra le professioni più a rischio ci sono: gli operatori dell’industria dello spettacolo (macchinisti, attrezzisti di scena), tra cui l’incidenza dei lavoratori precari è addirittura dell’85%; istruttori, allenatori, atleti (63,1%); registi, direttori artistici, coreografi, pittori, restauratori (48,5%); ricercatori (45,5%); agenti immobiliari e rappresentanti commerciali (39,5%); annunciatori e presentatori radio e tv, tecnici della produzione televisiva e del mondo della comunicazione (37,8%). «La società solida degli invisibili» è l’argomento di cui si parla oggi al Censis a partire da un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione «Un mese di sociale», giunto alla ventunesima edizione. Intervengono il Presidente del Censis Giuseppe De Rita, il Direttore Generale Giuseppe Roma e la responsabile del settore Politiche pubbliche Ester Dini.

il bilancio del 1° trimestre 2009

RILEVAZIONE TRIMESTRALE (da infocamere per UNIONCAMERE)
Il bilancio del primo trimestre, tradizionalmente negativo per via del concentrarsi delle cancellazioni a fine anno, è frutto della differenza tra le 118.407 imprese che hanno aperto i battenti (contro le 130.629 del primo trimestre dello scorso anno), e le 149.113 che invece li hanno chiusi (un valore in lieve contrazione rispetto a gennaio-marzo 2008, quando a cessare l’attività furono 152.443 imprese). Per effetto del saldo negativo, lo stock delle imprese a fine marzo si è pertanto attestato sul valore di 6.065.232 unità. Così si evidenzia che le nostre imprese non ci stanno e che se è vero che la crisi fa paura è altrettanto vero che chi è sul mercato fa di tutto per restarci, resistendo alla tentazione di abbassare la saracinesca in attesa che torni la fiducia. A subire maggiormente l’incertezza di questa fase sono piuttosto quegli italiani che vorrebbero avviare un’attività ma che, di fronte alle incognite, preferiscono attendere che passi “la notatta” della crisi. La somma dei due effetti, lieve riduzione delle chiusure e forte frenata nelle aperture rispetto allo stesso trimestre del 2008, ha così prodotto, tra gennaio e marzo, un saldo negativo di 30.706 unità, il più pesante degli ultimi dieci anni, pari ad una riduzione dello stock delle imprese dello 0,5%. I dati di questi primi mesi del 2009 indicano che gli imprenditori stanno facendo al meglio la loro parte, di fronte ad una crisi a cui non intendono rassegnarsi. Le imprese stanno affrontando con resposabilità grandissimi sacrifici per restare sul mercato. Riducono i margini, limano i costi, rallentano le attività ma non si arrendono e resistono in condizioni difficilissime nell’attesa di un mutamento del clima di fiducia. L’andamento dei segnala però due cose: l’impatto della crisi è ancora contenuto, ma la progressione degli ultimi mesi indica che sta crescendo la pressione sui bilanci delle aziende. È un segnale importante che deve indurci a tenere alta la guardia soprattutto in questo momento in cui sembrano affacciarsi i primi, timidi segnali di alleggerimento delle difficoltà, almeno in alcuni settori. Se da un lato osserviamo con soddisfazione il trend positivo delle imprese che nascono in forma di società, segno che il sistema imprenditoriale prosegue nel suo processo di ammodernamento e irrobustimento, dall’altro le difficoltà a carico delle imprese più piccole e dell’artigianato si fanno più acute e richiamano alla massima attenzione sul fronte del credito. E’ questo, infatti, l’unico antidoto che al momento può mantenere in vita tante aziende e permettere loro di tenere le posizioni conservando capacità produttiva e occupazione su livelli adeguati, per ripartire non appena le condizioni lo permetteranno

giovedì 2 luglio 2009


dal 1989, dopo aver svolto attività come libero professionista, sono impegnato in una piccola azienda. mai vissuto un momento come questo. però è anche vero che se le piccole imprese si uniscono, possono sul serio cambiare l'Italia. proviamoci!